Premessa
Ci è sembrata una bella idea, dopo aver inquadrato diversi aspetti riguardanti cacao e cioccolato, mettere in cantiere anche un articolo che parlasse, molto più in pratica, delle nostre tavolette single origin preferite, in modo che i lettori avessero “consigli per gli acquisti” su qualcosa di veramente interessante, per non dire imperdibile.
Abbiamo preso la cosa piuttosto sul serio, procurandoci più 80 diverse tavolette, da quelli che in questi anni sono diventati i nostri produttori di riferimento, per poi organizzare un gruppo di redazione con cui abbiamo condiviso assaggi, confronti e discussioni. Questo articolo (parte 1 e 2) è il risultato di questa esperienza, delle impressioni e opinioni sulle tavolette assaggiate, raccontate senza peli sulla lingua. A nostro insindacabile giudizio, ovviamente, ma senza la pretesa di avere la verità in tasca.
Bisogna premettere che, se il periodo in cui esce l’articolo (appena dopo Pasqua) è propizio per la diffusa “voglia di cioccolato”, lo era molto meno quello in cui abbiamo fatto gli assaggi, in quanto a reperimento dei single origin: i siti dove si possono acquistare tavolette artigianali dall’estero si presentavano piuttosto disassortiti, complice anche l’attesa del nuovo cacao dai Paesi che stavano ultimando il raccolto. Quindi non sempre abbiamo trovato ciò che volevamo e a ciò si aggiunga che alcuni produttori che ben conosciamo, come l’ecuadoregno Masphi, purtroppo non sono reperibili in Europa. Comunque, ne è risultato ugualmente un buon quadro di molti dei cioccolati più interessanti sulla scena internazionale. Così si giustifica il titolo “Un assaggio tra le stelle”.
Il panorama internazionale del craft chocolate
Vediamo di definire il perimetro di che cosa intendiamo con craft chocolate per le tavolette di cioccolato fondente. Le prerogative che un produttore deve avere per rientrare a buon diritto in questa categoria sono in primo luogo l’artigianalità, che è un fatto sia di dimensione che di mentalità, poi il partire dalla materia prima cacao (ovvero essere un produttore bean-to-bar), infine produrre prevalentemente tavolette di singola origine (single origin) e non dei blend. Abbiamo già chiarito questi aspetti in un articolo (Il terroir del cioccolato).
Partiamo dall’Italia e da un parallelo con la birra artigianale, della quale si parla tanto, la si trova persino sugli scaffali dei supermercati (in versioni più o meno veritiere…) e in mescita in pub presenti in ogni città, che offrono il meglio della produzione nazionale ed estera. Ciò nonostante il settore artigianale fatica ad arrivare al 3% del volume di birra venduto in Italia: un mercato di nicchia quindi, anche se, contraddittoriamente, con una buona visibilità. Insomma se ne parla tanto, ma se ne beve poca (purtroppo). Il confronto col cioccolato artigianale, in questo caso ci riferiamo al prodotto bean-to-bar e single origin, è però impietoso: anche solo parlare di nicchia per il cioccolato sarebbe un’esagerazione, semplicemente non esiste, una semplice testimonianza. Con la speranza, forse vana, che articoli come questo, nel loro piccolo, possano lentamente aiutare a cambiare le cose, diffondendo una diversa cultura del cioccolato.
La storia del cioccolato single origin iniziò, comunque, in Francia a metà anni ‘80, grazie a Raymond Bonnat, il primo a produrre una tavoletta con il cacao proveniente da un ben preciso luogo. Più o meno nello stesso periodo Bernachon a Lione usava il cacao di Chuao, anche se solo per il cioccolato di copertura per le praline (un lusso…). Poi arrivò Valrhona a proporre single origin, un produttore più grande e con una buona diffusione commerciale, che col suo esempio ispirò diversi altri Paesi europei. Come in molte altre cose, i cugini d’oltralpe avevano qualche pista di vantaggio. Ma i francesi rimangono francesi, con un grosso fardello di tradizioni di cui fanno fatica a liberarsi. I loro prodotti sono, a tutt’oggi, sempre molto classici, con texture smooth e facilmente solubili grazie al burro di cacao aggiunto, con spesso la presenza di vaniglia anche nei single origin, cosa che il mondo dell’artigianale di norma aborrisce. Tra i produttori oggi più in evidenza nel proporre cioccolati di singola origine Michel Cluizel, Pralus, Morin e Chapon, i quali fanno prodotti sinceri, interessanti e ben caratterizzati.
Facendo un passo indietro nel tempo, il testimone dell’innovazione venne però raccolto a fine anni ’90 dall’Italia: si trattava di un periodo favorevole, con una nuova e forte attenzione per il cibo di qualità e denaro da spendere nelle tasche. Nel 1997 nasce infatti Domori, da un’idea visionaria del bolognese Gianluca Franzoni, che trasferitosi in Venezuela (per altri motivi) si innamora della vicenda del cacao criollo e in pochi anni riesce a creare un’impresa che farà la storia di questo settore. Le sue scelte sono drastiche, pionieristiche e coraggiose: fare un’opera di recupero di varietà di cacao dimenticate, proporre solo tavolette single origin, usare solo due ingredienti (massa di cacao e zucchero), niente vaniglia, niente burro di cacao extra, niente concaggio. Un cioccolato come non si era mai sentito prima, che diventerà punto di riferimento per le generazioni future di craft chocolate-makers, in tutto il mondo. Certo la sua visione scontò anche qualche limite, a nostro avviso: come puntare (quasi) tutta la sua narrazione sulla “leggenda del criollo”, mentre ci sono tantissime altre origini non meno intriganti; poi il fatto di innestare tutte le varietà di criollo collezionate in diverse aree del Venezuela, in un’unica piantagione nella penisola di Paria (gestita in joint-venture con la famiglia Franceschi) eliminando così “l’effetto terroir”. Ma nessuno è perfetto ed a maggior ragione i pionieri, i quali non godono del “senno di poi”.
Negli stessi anni in Italia nasce anche l’esperienza di Amedei, fondata da Cecilia Tessieri, e la nicchia di appassionati in Italia si divide in due fazioni, come con Coppi e Bartali, o se preferite come con Guelfi e Ghibellini. Io non ho mai avuto dubbi: preferivo le tavolette di Domori, per le scelte più nette ma anche per le sensazioni che mi davano all’assaggio. Questi due nomi che puntavano tutto sul fondente, non crearono però un seguito, rimanendo isolati, con la maggior parte degli artigiani italiani che continuavano a dedicarsi a praline & C.
C’erano (e ci sono tuttora) alcuni casi isolati di produttori medi e piccoli, come i piemontesi Guido Gobino, Guido Castagna e Silvio Bessone, i toscani Vestri e Trinci, i quali propongono single origin partendo dalle fave, ma che alla fine “campano” vendendo soprattutto altri prodotti (creme, spalmabili, praline, inclusioni, ecc. o caffè nel caso di Trinci) e le loro tavolette di cacao pregiato sono soprattutto una passione personale. Non costituendo il core business aziendale, non si può dedicare ad ogni singola origine di cacao il tempo necessario a sperimentare, con infinite prove, la sua propria lavorazione ideale. E i risultati si vedono, a mio parere, con prodotti buoni ma spesso non realmente entusiasmanti, perlomeno se paragonati con le tavolette che si stavano cominciando a produrre all’estero. E soprattutto, questi produttori rimangono casi isolati, non diventano “movimento” e non fanno notizia. Quindi, dopo un periodo di fulgore di inizio millennio, la scena italiana progressivamente vivacchia e l’interesse dei consumatori per una “certa idea” di cioccolato va scemando: i due apripista allargano la gamma dei prodotti a cioccolato al latte, bianco, gianduja, ecc. per poter sopravvivere; successivamente vengono acquisiti da gruppi più grandi: Domori da Illy nel 2006 e a seguire Amedei da Ferrarelle. I loro fondatori rimangono con un ruolo prevalentemente di immagine, e si sa come vanno a finire queste cose… i loro prodotti continuano a rimanere validi, spesso eccellenti, ma non c’è ricerca e sperimentazione di nuove origini di cacao.
Guido Gobino Guido Castagna Bodrato
Dopo anni di stagnazione, però, ultimamente nel nostro Paese qualcosa ha iniziato a muoversi: sono arrivati nomi nuovi come Amaro di Marco Colzani a Carate Brianza, Ruket a Ferrara e Brave Beans Chocolate a Senigallia, Karuna in Alto Adige, LIM chocolate a Fossano (CN), il Forno Brisa a Bologna… tutti interessanti. Inoltre diverse aziende storiche della cioccolateria nazionale hanno deciso di ritornare al passato e partire di nuovo dalla materia prima: Donna Elvira a Modica, Maglio in Puglia, Bodrato e Pastiglie Leone in Piemonte, Majani a Bologna.
Ciononostante, non credo si possa ancora parlare di un movimento artigianale del cioccolato bean-to-bar nel nostro Paese: per la scarsa conoscenza e interesse da parte del pubblico, per la mancanza di uno “spirito di gruppo” come quello che in Usa portò alla creazione dell’associazione Craft Chocolate Makers of America, perché infine per molti di questi artigiani il core-business non sono le tavolette single origin (salvo qualche ammirevole eccezione).
A proposito di America: negli ultimi anni è proprio lì che la scena artigianale del bean-to-bar è assolutamente più vivace e, pur rimanendo un segmento di mercato limitato, il prodotto viene capito e apprezzato dai foodies, al pari di altri prodotti come vini e birre.
Negli Stati Uniti i primi passi vennero mossi a cavallo del nuovo millennio, con l’esperienza di Scharffen Berger che, a San Francisco, inizio un discorso nuovo sul cioccolato. Ed anche se la sua esperienza innovativa terminò presto (2005) dopo l’acquisizione da parte del gigante Hersey, ormai la miccia era stata accesa e di lì a poco il fenomeno del bean-to-bar sarebbe esploso, forte anche dell’esempio proveniente dal mondo della birra artigianale made in USA. I pionieri sono stati Amano, Askinosie, Patric, Taza Chocolate e De Vries, che fondarono anche l’Associazione sopracitata e, a parte l’ultimo, sono tutti ancora in attività. A questi ne seguirono molti e molti altri, a diverse ondate, al punto che ogni città statunitense può contare su uno o più produttori artigianali locali. Sarebbe futile fare dei nomi, tanti sono quelli che meritano una citazione: dedicheremo alla scena statunitense un apposito articolo. Ma alcuni dei nostri preferiti li potete scoprire nella seconda parte dell’articolo.
A ruota venne il Canada, che oggi può vantare realtà significative come Qantu, Palette de Bine, Sirene, Soma.
Per quasi tutti, all’inizio, si è trattato di viaggiare tra le piantagioni di cacao, stringere rapporti coi coltivatori, fissare standard di qualità e solo dopo produrre tavolette single origin. Per molti, in un secondo tempo, sono arrivate anche le tavolette al latte, le inclusioni, gli aromatizzati ma, essenzialmente, non si tratta di pasticceria ma di veri produttori di cioccolato dark.
Quel che è successo di là dall’Oceano Atlantico ha avuto un forte riverbero in Europa, in special modo nel Regno Unito. A fianco di un antesignano come Willie’s Cacao, sono nate diverse altre esperienze interessanti come gli inglesi Aztec Gold, Chocolarder, Dormouse, Duffy’s, Lucocoa, Pump Street Bakery e gli scozzesi Bare Bones e Chocolate tree.
La mentalità dell’artigiano bean-to-bar ha, in generale, trovato un terreno fertile in alcuni Paesi che non vantavano una forte tradizione di cioccolateria, come ad esempio la Scandinavia, dove tutto o quasi era da inventare; qui si sono affermati diversi protagonisti come Fjåk in Norvegia, Standout Chocolate e Svenska Kakaobolaget in Svezia, Levy in Finlandia, Friis Holm e Oialla in Danimarca… alcuni dei quali sono veramente eccellenti.
In altre nazioni dalle forti tradizioni e che sono sempre state dei riferimenti a livello europeo per il cioccolato, il nuovo approccio ha fatto fatica ad affermarsi. Parliamo ad esempio del Belgio, dominato dai grandi marchi industriali, dove hanno trovato spazio solo alcuni fantastici produttori di praline & C., come Marcolini o Gerbaud, i quali però non partono dalle fave di cacao; l’unico produttore artigianale di tavolette che conosciamo è Coup de Chocolat. Simile risulta la situazione nei Paesi Bassi, meno noti del Belgio ai consumatori, ma che sono i primi in Europa in termini di tonnellate di fave di cacao lavorate: solo ultimamente sono sbucati piccoli produttori di single origin, come Chocolate Makers, Mesjokke e Krak Chocolate. Anche in Svizzera la produzione del cioccolato è schiacciata dalla grande tradizione industriale: tra le pochissime eccezioni Idilio Origins a Basilea (che comunque fa produrre le tavolette a Felchlin) e il piccolissimo Taucherli a Zurigo. In Austria fa discorso a sé stante Zotter Schokolade, che offre ai visitatori un’esperienza sul cioccolato a 360°, con visite guidate e didattica del cioccolato e, non di secondaria importanza, degli ottimi prodotti.
Nella Penisola Iberica, luogo del primo storico approdo del cacao in Europa, abbiamo poco da segnalare: a Barcellona due creativi e designer di prodotti al cioccolato come Oriol Balaguer e Enric Rovira e un produttore bean-to-bar (Blanxart); poi Casa Cacao a Girona e Feitoria do Cacao in Portogallo. La Germania, che pur vanta una discreta tradizione nel settore, si segnala per un produttore molto interessante e che produce diverse origini, Georgia Ramon. Nel resto d’Europa, come mosche bianche, qualche sparuto produttore di tavolette single origin nei vari Paesi: ad esempio Rózsavölgyi Csokoládé (Budapest), Jordi’s (Boemia), La Naya (Lituania), Chocolate Story (Polonia).
Un discorso analogo, fatto di esperienze isolate, si riscontra in un viaggio tra i Paesi produttori di cacao, dall’Africa all’estremo oriente, dove possiamo incontrare a São Tomé l’italiano Claudio Corallo e il locale Diogo Vaz, in Madagascar Menakao, Chocolat Madagascar e Madécasse (ora Beyond Good), Soklet in India, Belvie e Marou inVietnam, Auro nelle Filippine, Krakakoa in Indonesia, finanche, in Paesi che non producono cacao, The Smooth Chocolator in Australia e Cacaoken e Théobroma in Giappone.
Una scena molto vivace, che ricorda l’inizio del movimento artigianale statunitense, è quella che si sta sviluppando in America Latina, che ha riscoperto sé stessa come patria di elezione del cacao migliore al mondo e che sta cominciando a capire che ci può essere uno spazio significativo per il processo di trasformazione locale in tavolette di cioccolato artigianale, come forse anche per un mercato di consumo interno, soprattutto nelle grandi città. Da qui nascono le esperienze di Amma, Luisa Abram ed altri in Brasile, di Pacari in Ecuador (il suo fondatore, Santiago Peralta, è stato uno dei primi ad avere questa intuizione) seguito poi da Masphi, Conexion, Hoja Verde, Kuná e To’ak; in Colombia Tibito, Cacao Hunter (creato dalla giapponese Mayumi Ogata), Cacao Disidente (fondato dall’italiano Manlio Larotonda) e, infine, in Perù Amazona Chocolate, Cacaosuyo, Cocama, Marana. Nell’area caraibica si segnalano la storica azienda Grenada Chocolate Company, nell’isola omonima, e a Trinidad e Tobago, culla del cacao trinitario, Tobago Chocolate.
(fine prima parte)
Nella seconda parte: Esiste una geografia del gusto per il cacao? Ad ognuno il suo stile. L’assaggio delle oltre 80 tavolette.
Coming soon…