Non ho trovato parole migliori per sintetizzare, in un breve titolo, un tema sul quale ci sarebbe tantissimo da dire e da scrivere.
Giusto per chiarire, con cioccolato gourmet si intende un prodotto da “intenditore”, ovvero per chi ne apprezza la qualità e le varie sfumature di gusto. Commodity invece indica un cioccolato offerto sul mercato senza evidenti differenze qualitative, magari decente sì, ma piuttosto standardizzato. Ovviamente si tratta di un’estremizzazione, che in altre parole pone questo problema: il cioccolato è più paragonabile al vino, per intenderci, nel quale si possono apprezzare differenze dovute al vitigno, al terreno e al clima, ed ovviamente al tipo di vinificazione, oppure è un prodotto banale, indifferenziato, dove una marca vale l’altra e sono tutte acquistabili ad un prezzo contenuto.
Sono convinto che molti consumatori, poco attenti e scarsamente informati, propenderebbero per la seconda ipotesi. Che in effetti non è lontano dal vero: la gran parte del cioccolato in commercio è prodotto con cacao di qualità medio-bassa (coltivato in Africa occidentale), con gli stessi ingredienti e la stessa tecnica di produzione. Ma, attenzione, esiste anche un cioccolato “altro”, dove in etichetta è specificata l’origine del cacao e la cui lista degli ingredienti è sempre piuttosto corta (a volte solo massa di cacao e zucchero), reperibile solo in alcuni negozi specializzati a un costo anche dieci volte superiore al consueto. Pertanto, pare che il cioccolato sia al tempo stesso un prodotto gourmet e una commodity, ed ovviamente a noi interessa maggiormente la prima interpretazione, anche se molti foodies, soprattutto in Italia, non riservano al cioccolato la stessa attenzione che danno al vino o alla birra artigianale. Lo scopo di questo articolo è fargli (o farvi) cambiare idea.
Iniziamo mettendo le cose in prospettiva storica. Il cioccolato nasce gourmet, indubbiamente. Anzi, mi spingo oltre: il cioccolato nasce con un aura di sacralità. I primi uomini che hanno utilizzato il cacao erano sudamericani: una civiltà chiamata Mayo-Chinchipe, sviluppatasi circa tremila anni prima di Cristo nell’attuale Ecuador amazzonico, quindi nell’area di origine della pianta del cacao. Quasi certamente essi impiegavano la mucillagine zuccherina che avvolge i semi per produrre una bevanda fermentata, leggermente alcolica.
I primi ad usare invece i semi (fave) del cacao, e quindi a tutti gli effetti gli “inventori” del cioccolato, sono stati gli Olmechi, civiltà sviluppatasi nei bassopiani del Messico circa 1.500 anni dopo. Non conosciamo chi abbia portato la pianta del cacao dal Sud al Centro America, ma sappiamo che per gli Olmechi era molto importante, al punto da mettere riproduzioni in terracotta delle fave di cacao nelle loro tombe.
A quel tempo il cioccolato era una densa bevanda chiamata “kakawa” e la tradizione della sua preparazione viene trasmessa ai Maya, che lo chiameranno “kakaw” (si pronuncia semplicemente cacao) e gli svilupperanno attorno un vero e proprio culto. La bevanda era riservata alle classi dominanti e usata in riti religiosi, simboleggiando il sangue umano, per cui successivamente gli europei coniarono l’epiteto “cibo degli dei”. La tradizione passò alla civiltà Azteca, che si era sviluppata sugli altipiani, per la quale rappresentava un pregiato prodotto di importazione proveniente dal Messico meridionale, chiamato “kakawa-tl” (il termine “xocoatl” citato in molte pubblicazioni, non ha fondamento storico).
Quando nel XVI secolo il cacao arriva nel vecchio mondo, rimane a lungo una bevanda molto esclusiva, conosciuta solo nelle corti dell’aristocrazia europea e nei monasteri, e in seguito si diffonde tra le elite borghesi. Solo a metà del XIX secolo, quando la britannica Fry & Sons produce la prima tavoletta solida, il cioccolato comincia a diventare popolare, fino ad essere decisamente banalizzato nella seconda metà del XX secolo. Ma a partire da fine anni ’80 il cioccolato si riscopre gourmet, ma non tanto per i raffinati prodotti di pasticceria al cioccolato, che esistevano già da tempo, piuttosto per le tavolette fondenti ad alta percentuale di cacao, riportanti il luogo di origine della materia prima, il cacao.
La francese Valrhona, ad esempio, lancia sul mercato una tavoletta al 70% per la prima volta nel 1986. Ma il primo a scrivere l’origine delle fave sulla confezione è il produttore d’oltralpe Bonnat, nel 1984. Qui si innesta una importante considerazione su che cosa sia il “prodotto cioccolato” in generale, su come lo si debba intendere. A mio modo di vedere esistono, in estrema sintesi, due modi diversi di interpretarlo: quello dove il cacao è solo uno dei molti possibili ingredienti, l’altro dove invece la materia prima risulta protagonista assoluta.
In altri termini, da una parte stanno torte e gelati al cioccolato, praline e tavolette al latte, prodotti per i quali la qualità del cacao impiegato ha un’importanza relativa; dall’altra c’è invece il cioccolato fondente, o dark chocolate in inglese, la cui qualità dipende essenzialmente da quella del cacao. La percentuale che si legge sull’incarto di una tavoletta esprime l’insieme di tutti gli ingredienti derivanti dalle lavorazione delle fave: perciò la massa di cacao più l’eventuale burro di cacao aggiunto. Questo viene estratto dalle fave, di cui costituisce oltre la metà, esclusivamente con mezzi meccanici. Pertanto un cioccolato fondente al 70%, oggi molto comune, può contenere, ad esempio, un 65% di massa di cacao e un restante 5% di burro di cacao, aggiunto per facilitarne la fusione in bocca e diminuirne la viscosità; il restante 30% è zucchero, eventualmente con aromatizzazione alla vaniglia (possibilmente naturale) e con l’aggiunta di lecitina quale emulsionante.
In generale il cioccolato di qualità ha una la lista degli ingredienti piuttosto breve: massa di cacao, zucchero ed, eventualmente, burro di cacao, i quali sono infatti sufficienti a produrre una grande tavoletta, se disponiamo di un’ottima materia prima. Se il cacao è di buona qualità e, a maggior ragione, se ha aromi peculiari, perché aggiungere vaniglia, col rischio di standardizzarne il sapore? Alcuni produttori scelgono di utilizzare solo massa di cacao e zucchero, dando vita così ad un cioccolato più viscoso, che si scioglie più lentamente, spesso anche più granuloso. Altri preferiscono invece un mouthfeel (sensazione in bocca) più fine, leggera e solubile, si potrebbe dire più classica. Questione di gusti.
A proposito della percentuale ideale, è mia opinione che l’ideale sia il 70% o poco più: la quantità di zucchero è adeguata a mascherare l’amarezza e l’astringenza naturale del cacao, che se è di grande qualità ha egualmente un impatto aromatico. Alcuni tipi di cacao, ad amarezza molto bassa, tollerano molto bene anche percentuali dell’80% ed oltre, senza perdere l’equilibrio gustativo. Il discorso è in realtà più complesso, perché la percezione dell’amaro e l’astringenza dipendono anche dalla texture della tavoletta: ad esempio un cioccolato molto “grezzo” risulterà meno amaro e può tollerare anche percentuali più elevate, come dimostrano alcuni 100% prodotti a Modica.
Chiusa questa parentesi, peraltro necessaria, sulla composizione di una tavoletta di cioccolato fondente, torniamo al tema iniziale: è vero che il cioccolato può essere considerato un prodotto gourmet, ovvero qualcosa degno di essere assaggiato ed apprezzato con attenzione, cercando di interpretarne le sfumature gustative e di ricollegarle a come è stato coltivato e trasformato il cacao? La mia risposta, ovviamente, è affermativa e allora diventa interessante capire quali sono i fattori che ne determinano il sapore e, in ultima analisi, la qualità. Ma ne parleremo nella prossima puntata!
Fonti storiche:
Terrence Kaufman, John Justeson. The history of the word for cacao in ancient Mesoamerica. Ancient Mesoamerica 18, (2007).
L.E. Grivetti, H.Y. Shapiro. Chocolate, history, culture and heritage. Wiley, 2009.
C.L. McNeil. Chocolate in Mesoamerica. A cultural history of cacao. 2008
Ci sono due riferimenti importanti in questo articolo che makers come To’ak Chocolate e Amano Chocolate menzionano sempre riguardo alle origini del cacao ovvero la civiltà Mayo-Chinchipe e gli Olmechi. Fondamentale punto di partenza alla materia a mio avviso per foodies e intenditori.
La comparazione cioccolato e vino funziona e credo che rispecchi perfettamente l’idea di “fine chocolate”. Inoltre il cioccolato “gourmet” può regalare emozioni uniche abbinato a “birre artigianali” e vino di qualità. Sono accordo con la percentuale “ideale” di cacao, il 70%, che preferisco per una buona degustazione della materia prima. Da notare, che alcuni produttori commodity stanno Lanciando linee “single origin” ma per quello che ho potuto provare siamo molto lontani dal livello di alcuni artisan makers.