Prima di tutto un chiarimento. Per “pinta” s’intende (metafora facile facile) la birra; per “ciccia” non i centimetri di troppo sul girovita, bensì (chi scrive è toscano) la carne, in tutte le sue declinazioni. E dunque si parla, qui, del loro abbinamento in tavola; un “lavoro di squadra” non solo possibile, ma molto di più: centrato, piacevole, talvolta sorprendente.
E si tratta di una presa d’atto, date retta, tutt’altro che scontata: perché (di nuovo la base d’argomentazione è l’esperienza personale circa le tradizioni gastronomiche consolidate, specie qui nel Granducato) c’è una sorta di dogma che impone, con bocconi di quel genere, di berci su sacrosanti bicchieri di vino. Rosso con manzo, cacciagione e compagnia; bianco con coniglio, pollo e maiale; rosato con buona parte degli umidi. Consuetudini sensate, certo; per tutta una serie di buone ragioni: la richiesta di acidità detergente implicata dai sentori “avicoli”; l’istanza di drenaggio (affidata ai tannini) sulla succulenza delle polpe bovine; l’attrazione esercitata dalle affilatezze del pomodoro verso le note analoghe (addolcite da morbidezza glicerica) che contrassegnano i migliori rosé.
Eppure si tratta – a voler affrontare il tema senza i paraocchi del pregiudizio (o nel migliore dei casi della routine collaudata) – di “esami” che anche la birra è in grado di affrontare; anzi, le birre: con gli arsenali sensoriali propri delle tante, tantissime e diverse tipologie. Attorno a questa scommessa si è organizzato una sorta di test a tutto tondo (o quasi): per sapere com’è andata, non c’è che da seguire la strada indicata dal link qua sotto…