Per un palato italiano è cosa tra le più naturali viziarsi con fette o tocchetti di qualche buon salume. Un gesto tradizionale e istintivo. Tanto istintivo quanto, d’altra parte, si rivela l’atto del cercare, per quei bocconi, un bicchiere pienamente adeguato al ruolo del compagno di viaggio: che sappia cioè affiancarli in modo tale da dar luogo a un parallelo cammino armonico, valorizzando al meglio le loro qualità sensoriali e le proprie. Ecco, in quest’ottica, le regole della stessa, appena citata, tradizione – sedimentatesi per ragioni certo non causali, ma talvolta dettate dalla non illimitata disponibilità di opzioni tra cui scegliere, in un ambiente fisico e insediativo magari circoscritto (una vallata, un delta fluviale, un comprensorio collinare, un’isola…) – portano non di rado, appunto sul fronte degli abbinamenti gastronomici, a consolidare soluzioni, per carità, non errate, ma a ben vedere perfettibili. Un esempio riguardante proprio i salumi? La consuetudine ad annaffiarli con vino rosso giovane: di certo valido, con la sua acidità e tannicità, a gestire la frazione grassa del morso; ma talora non esattamente idealissimo, a causa della medesima tannicità, a sposare la spinta sapida (frequentemente spiccata) di ciò che si ha nel piatto. Parlando di birra, se è vero che le note tanniche non sono tra le più ricorrenti nel suo Dna organolettico (in media, ovviamente; al netto delle enormi differenze tra le molteplici tipologie), un’altra insidia è però sempre in agguato: quella costituita dalle componenti amare (apportate dai malti scuri o dal luppolo), a loro volta poco compatibili (è la risposta prevalente, in termini statistici) con sensazioni di sapidità incisive e marcate. E allora? E allora è opportuno ricorrere ad altre armi gustolfattive. In questo caso ci si è divertiti a esercitarsi (cosa non si fa, per la scienza…) su un prodotto tipico della Toscana settentrionale: la mondiola della Garfagnana o mortadella della Lunigiana. Ed ecco il risultato…