Nell’immaginario comune i batteri acetici sono uno dei gruppi microbici più legati al vino, perché considerati capaci di alterarne le qualità. Ma è vero? In passato, in sistemi di vinificazione rudimentali, la contaminazione acetica poteva essere grave, ma la moderna tecnologia sembra aver relegato questo gruppo microbico in secondo piano nella non esaltante classifica dei microrganismi più dannosi per il vino. In effetti, i principali problemi per la qualità e la salubrità del vino oggi provengono da sviluppi incontrollati di batteri lattici o lieviti come il “Brett”, pur tuttavia non bisogna abbassare la guardia.
Ma cosa sono i batteri acetici? Con il passaggio da una classificazione fenotipica a quella genetica, la famiglia dei batteri acetici ha subito una profonda revisione, sia nella nomenclatura che nella “reputazione” dei vari generi di batteri acetici, soprattutto in chiave tecnologica: ovvero quali microrganismi sono utili alla produzione di aceti e quali, invece, dannosi nel settore viti-enologico. Oggi sono riconosciuti 19 generi e 92 specie di batteri acetici, ovviamente con diffusione non uniforme in termini geografici e quantitativi. Sono comunque tutti microrganismi associati al materiale vegetale ricco di zuccheri, al tratto gastrointestinale di insetti e alla produzione di bevande fermentate e acide. In ambito più prettamente viti-enologico sono 4 i generi di interesse: Acetobacter, Komagateibacter, Gluconobacter e Gluconacetobacter; i primi due hanno un ruolo tecnologico, nell’industria degli aceti, mentre gli altri sono ampiamente diffusi sulle matrici alimentari e dunque prettamente contaminanti. Vediamo ora di approfondire i caratteri di ciascun genere.
Acetobacter è il genere di batteri acetici per eccellenza, nell’immaginario collettivo. La sua caratteristica principale è la capacità di ossidare l’etanolo dapprima ad acetaldeide e successivamente ad acido acetico, mediante due enzimi siti sulla membrana cellulare. Curiosamente, non è il genere di batteri acetici con la più elevata tolleranza all’acido acetico, che si colloca tra il 7 e l’8%. Solo ceppi eccezionalmente resistenti di A. pasteurianus hanno raggiunto il 10% di acido acetico in soluzione, mai oltre. È un microrganismo filmogeno, che sviluppa biofilm di modesta entità all’interfaccia tra liquido e aria. In ambito agroalimentare è utilizzato nella produzione di aceti le cui materie prime sono l’uva e la frutta (es. aceto di vino, aceto di mele), soprattutto in stabilimenti artigianali. In enologia è raramente isolato sulle uve, molto frequentemente e a lungo, nei vini.
Komagateibacter è un genere “nato” nel 2013 dalla riclassificazione di specie appartenenti ad altri generi Può ossidare completamente l’etanolo, prima ad acido acetico e poi ad acqua. Può produrre cellulosa molto pura, utile in diverse industrie, ed è certamente il genere di batteri acetici più resistente all’acido acetico, con ceppi che possono resistere al 15-20 % di acido acetico e sono utilizzati per produrre aceto di frutta e di alcol in fermentazioni industriali, in diverse regioni mondiali. Non tollera l’SO2 (principale antisettico del vino), mentre risulta tollerante ai sorbati, comuni anti-fermentativi alimentari.
Gluconobacter è capace di utilizzare gli zuccheri, producendo oltre che acido acetico, anche l’acido D-gluconico, gli acidi 5- e 2-chetogluconico e il didrossiacetone. Pur essendo presente anche in fermentazioni acetiche artigianali, è generalmente considerato un microrganismo alterativo sia di bevande alcoliche come birra, sidro e vino, che di prodotti vegetali freschi. È infatti uno dei responsabili del marciume acido, tanto che l’accumulo di acido gluconico, dei lattoni suoi derivati e degli acidi cheto-gluconici, sono indicatori commerciali di vini originatesi da uve alterate, riducendo il valore commerciale e la qualità organolettica. Lo sviluppo di questo batterio porta al deterioramento ossidativo dei vini, con sentori di muffa e odore fenolico. Gluconobacter può persistere durante i primi giorni di fermentazione alcolica, poi la concomitante azione di acidità ed etanolo portano alla sua scomparsa. La tolleranza all’acido acetico è modesta.
Gluconacetobacter è un genere oggi minoritario, visto il passaggio a Komagateibacter di alcune delle specie più diffuse. È tuttavia un buon produttore di acido acetico dall’etanolo e produce acido ascorbico, ovvero la vitamina C. La produzione di cellulosa è modesta. Questo microrganismo è isolato in ambienti ricchi di zuccheri, dopo conversione di questi in alcol ad opera di altri microbi, come in fiori e frutti alterati. Può essere distinto da altri generi di batteri acetici mediante l’analisi cromatografica di frammenti proteici caratteristici, di origine enzimatica.
I batteri acetici accompagnano tutto il processo di vinificazione, fin dalle ultime fasi della maturazione delle uve, pur in un’alternanza di generi e specie, in funzione delle mutate caratteristiche delle matrici enologiche.
Sulle uve prevale nettamente il genere Gluconobacter, in grado di accompagnare i vini fino al circa 1/3 della fermentazione alcolica, risultando più presente in caso di mosti da uve passite o alterate. I danni imputabili a questo batterio sono, come abbiamo già accennato, l’accumulo di acido gluconico, acido acetico ed altri composti minori, e quindi deviazioni organolettiche. La prevenzione sta sostanzialmente nella gestione della lotta fitopatologica e nella attenta selezione delle uve all’ingresso in cantina. In caso di presenza di questo batterio la protezione dei mosti dall’ossigeno e un robusto inoculo di lieviti selezionati, oltre che un’adeguata solfitazione, assicureranno l’instaurarsi di un ambiente povero di ossigeno e ricco di alcol, sfavorevole al metabolismo di Gluconobacter.
Nei vini sono i generi Acetobacter e Komagateibacter a prevalere e a mantenersi vitali, anche per tempi lunghi. Vi è infatti l’errata convinzione che i batteri acetici non siano in grado di sopravvivere se non in condizioni di abbondante areazione. In assenza di ossigeno i batteri acetici possono trovare altre molecole ossidabili, presenti in quantità minore del vino. In questo modo i batteri acetici rimangono vitali, pronti a svilupparsi qualora vi sia un ingresso di ossigeno nel vino, come nel caso di un travaso o di un imbottigliamento. Inoltre, i vasi vinari in legno, parzialmente permeabili all’ossigeno, sono in grado di sostentare a lungo l’attività dei batteri acetici.
Anche il vino imbottigliato non è al riparo da alterazioni date dai batteri acetici, soprattutto se tappato con sughero, permeabile all’ossigeno. Studi condotti su vini rossi inoculati volutamente con dosi crescenti di batteri acetici hanno dimostrato che la presenza dei batteri altera il profilo organolettico dei vini imbottigliati, interferendo su una pluralità di composti chiave.
In conclusione, il gruppo dei batteri acetici ha una insospettabile complessità e biodiversità, sia in termini di caratteri fisiologici che di interazione con l’ambiente enologico e con le matrici vitivinicole. Pertanto, l’alternanza dei diversi generi lungo il processo di vinificazione, dalle uve alla bottiglia, rappresenta un concreto rischio per la qualità dei vini. Il controllo e l’eradicazione anche di questi microrganismi non può dunque essere trascurato, non solo per contenere i tenori di acidità volatile, ma anche per preservare il profilo sensoriale originale dei vini, valorizzando i caratteri distintivi delle uve di origine.