L’Adige, come insegano gli ormai desueti libri di geografia, nasce all’estremo Nord d’Italia, per poi attraversare due regioni, il Trentino Alto Adige e il Veneto. In questo lungo viaggio le vigne si specchiano per parecchi chilometri nelle sue acque ma, rispetto ad altri grandi fiumi del vino, qui la varietà è la caratteristica principale. Infatti, nel suo lungo corso l’Adige attraversa differenti regioni non solo dal punto di vista geografico, ma anche e forse soprattutto culturale. Se le sue sorgenti sono in terre di coltura tedesca, e dunque anche la viticoltura, negli stili e nei vitigni ne risente fortemente, il corso del fiume si dipana poi in zone vitivinicole molto varie, per suoli e vitigni coltivati, tanto che non è facile trarre un comune denominatore fluviale nei vini prodotti nella Provincia di Trento e in Veneto. Nelle prossime righe racconteremo dunque qualcosa dei vini che, a nostro modesto parere, più si giovano della vicinanza col fiume.
La Val Venosta è la prima terra vitata che si incontra lungo il corso dell’Adige e quella che più deve la sua fortuna al fiume. Infatti, in questo primo tratto il fiume svolta bruscamente verso est, tracciando per alcune decine di chilometri una valle che ha il suo lato sinistro perfettamente esposto a sud. Queste assolate terre di origine porfirica creano un microclima mediterraneo, dove non è raro incontrare varietà autoctone di piante grasse, che contrastano bizzarramente con il clima nettamente alpino dell’altro lato della valle. Terre aride dunque, ma coltivate da sempre, come testimoniano ritrovamenti archeologici (Ötzi, la mummia preistorica spuntata dai ghiacci, era partita da questa valle per il suo ultimo viaggio) e un ingegnoso sistema di irrigazione mediante canali, letteralmente scavati nella roccia e ancora perfettamente funzionanti. In Val Venosta l’enologia è in buona parte portata avanti da piccole aziende famigliari che, con un cipiglio tipicamente teutonico, coltivano la vite su erti terrazzamenti, e non fanno mistero di ispirarsi alle più vocate terre viticole tedesche nella forma di allevamento e nella varietà prevalentemente coltivata, il Riesling.
La cantina di riferimento della Val Venosta è certamente Schloss Juval, che sull’omonimo pendio esposto perfettamente a mezzogiorno offre differenti espressioni del Riesling, capaci anche di lunghi affinamenti, e delicati pinot, bianco e nero. Questa è la regione italiana dove più il nobile vitigno bianco si avvicina agli archetipi tedeschi, nell’esuberanza dei profumi, uniti a una rocciosa acidità, quasi tattile, che nel tempo sa evolvere in suadente complessità. Altri vitigni tedeschi minori, come lo zweigelt, il müller thurgau e il francese pinot bianco possono dare bottiglie altrettanto marcate da un territorio dal carattere unico. I vini venostani, assieme ai preziosi e rari distillati prodotti in valle e ad altre cicche agroalimentari, li potrete trovare nel Vinschger Bauernladen, la bottega contadina ai piedi di Schloss Juval. Più avanti il fiume attraversa la provincia di Bolzano, ma le vigne, saggiamente, si allontanano dalla pianura, terra troppo sabbiosa e fertile per poter dar vini di qualità.
La prima eccezione la si incontra al confine tra le province di Trento e Bolzano. La Piana Rotaliana è un enclave rossista che deve la sua origine e la sua fortuna al connubio tra terreni di origine alluvionale, dati dall’incontro di due fiumi, L’Adige e il Noce, e il Teroldego, rustico vitigno locale che solo qui può raggiungere traguardi di finezza davvero notevoli. Questo “fazzoletto” di terra con un’estensione di poco superiore a 400 ettari, comprende una parte dei comuni di Mezzocorona, Mezzolombardo e Grumo di San Michele all’Adige.
L’area della Piana Rotaliana è, da un punto di vista geologico quasi unica, totalmente diversa dal resto del fondovalle circostante per lo più dedito alla frutticoltura o all’orticoltura. Le peculiarità rotaliane si devono principalmente alle esondazioni del fiume Adige e del torrente Noce, suo immissario, avvenute nel corso della storia. La genesi del terreno della Piana Rotaliana è di origine alluvionale, ma la natura è glaciale, dolomitica, poiché furono proprio le glaciazioni a creare la piana, scavando profondamente le pareti rocciose che si ergono per centinaia di metri a chiudere il Campo Rotaliano. Le bonifiche condotte negli ultimi due secoli non hanno sostanzialmente alterato la natura del suolo della Piana Rotaliana che, seppur a prima vista omogeneo, è invece molto vario.
Nel centro della piana, vicino ai corsi d’acqua, i suoli sono profondi e sabbiosi, mentre mano a mano che ci avviciniamo alle pareti rocciose, l’orizzonte coltivabile si fa più sottile prevalgono i materiali ciottolosi, retaggio dell’erosione preistorica. Ovviamente il Teroldego ne risente, in numerose sfumature che oggi un gruppo di undici giovani vignaioli, raggruppati nell’associazione Teroldego Revolution sta riscoprendo. Val la pena di partecipare ad una delle numerose iniziative organizzate dall’associazione per scoprire come il Teroldego possa essere vitigno versatile, passando disinvoltamente da fragranti versioni rosate a complesse riserve, senza dimenticare le più gastronomiche versioni d’annata, e dotato di un notevole potenziale di invecchiamento.
Oltrepassata la città di Trento ecco la zona degli Ziresi, terra natia del Marzemino. Il fiume oggi bonificato scorre lontano dal naturale alveo, nel quale ha lasciato profondi strati sabbiosi dove affondano le radici le pergole del Marzemino. Il vitigno è ostico, selvatico nei profumi, tardivo nella maturazione, sensibile alle avversità. La maturazione è spesso un obbiettivo difficile da raggiungere se non si contengono le rese e non si è scrupolosi in vigneto. Un parziale appassimento delle uve, retaggio degli antichi domini veneziani può dare risultati interessanti, in vini complessi e ampi, ma che mantengono un’inconfondibile nota territoriale.
Cantine da segnarsi sul taccuino, seguendo il corso dell’Adige, Eugenio Rosi, con vigne proprio nella zona degli Ziresi, De Tarczal sulle prime colline di fronte alla città di Rovereto e Lorenzo Bongiovanni, ad Avio. Le tre cantine non producono solo iconiche versioni di Marzemino, si distinguono per attente interpretazioni dei territori del basso Tentino e delle valli contigue. Lorenzo Bongiovanni, in particolare, ha saputo recuperare dall’oblio le ultimi viti di Enantio, vitigno autoctono una volta largamente diffuso ed oggi scomparso, dandocene una versione esemplare che merita una riscoperta che va oltre la supplice curiosità enologica. Altri vini traggono la lor peculiarità dallo scorrere dell’Adige e dalle terre alluvionali che ha plasmato, erodendo le montagne circostanti, come i pregiati uvaggi bordolesi o i vini di Valpolicella, dei quali però parleremo un’altra volta.