Era una soleggiata giornata primaverile, durante un viaggio didattico che avevamo organizzato e che includeva una visita ad un negozio di cioccolato. Trotterellavamo lungo le affollate strade del centro di Oaxaca, passando a fianco di negozi che vendevano mezcal, ad altri con camicette ricamate, inseguendo la fragranza e la promessa di pasta di cacao di fresca macinatura.
La nostra guida ci aveva narrato di locali come questo, dove ogni persona può scegliere la miscela di cioccolato perfetta per soddisfare il gusto personale della famiglia, una tradizione che si è radicata nella cultura popolare per generazioni. Ogni settimana quando il sacchetto di soffice pasta di cioccolato arriva nella cucina domestica, i bambini aiutano ad arrotolare piccole palline che fungono come porzioni pronte all’uso, che poi vengono avvolte in un canovaccio ed appese al soffitto, per evitare che i bambini stessi se le mangino.
Ci fermammo all’incrocio semaforico giusto di fronte al cartello con su scritto “El Mayordomo, La Casa del Chocolate,” tentati dal fragrante profumo del cioccolato e dalle note di cannella. Il frequentato negozio odorava come una gigante tazza di cioccolato. I cassieri batteva gli ordini delle persone e c’era una piccola sala di attesa dove la paziente clientela aspettava per il suo cioccolato. Noi ci muovemmo verso il retro del negozio, attraversando una porta di vetro che dava direttamente nella zona di miscelazione, dove tre addetti maneggiavano grandi mulini, circondati da vassoi di fave di cacao, impilate con stecche di cannella e mandorle. Ogni vassoio portava una factura, ovvero un foglietto con l’ordine, indicante lo specifico ammontare di cannella, mandorle e zucchero che ogni cliente più gradiva. L’addetto lasciava cadere il contenuto del vassoio nei mulini e raccoglieva una densa pasta in un sacchetto in plastica, attaccandoci la factura sopra e riponendolo a lato. Da li a poco un commesso del negozio sarebbe passato a ritirare gli ordini dei clienti che attendevano appena fuori la porta.
Il cacao è una parte complessa della cultura del cibo messicana. A partire da, almeno, il 1.500 a.C. gli Olmechi, abitanti dell’odierno Messico meridionale, iniziarono a trasformare le fave di cacao tramite la loro fermentazione, essiccazione e macinatura, fino ad una densa pasta, usata per produrre una bevanda. I Maya, nella penisola dello Yucatan e dintorni, continuarono questa tradizione di produrre questa bevanda schiumosa, a volte aggiungendo farina di granturco e peperoncini, e dolcificando moderatamente con miele di melipona (un’ape indigena priva di pungiglione). Più tardi gli Aztechi eleveranno il cacao ad un ruolo divino, con un consumo riservato alle classi più abbienti. Insieme al mais, il cacao era considerata sacro e più prezioso dell’oro.
Questo cioccolato non era la dolce cioccolata in tazza che conosciamo noi oggi; infatti gli invasori spagnoli commentarono nelle loro note al viaggio, che questa bevanda schiumosa era amara e sgradevole al loro gusto. Gli europei si concedevano al piacere dello zucchero di canna già da un pezzo, e sentirono la necessità di aggiungerlo al cioccolato caldo, quando questi arrivò sulle loro tavole. Il mio gruppo lasciò il negozio con lingotti di cioccolato, ancora ebbri dell’intenso profumo di cioccolato, dirigendoci verso il “Mercado 20 de November” per assaggiare il Tejate.
Tejate
“Il Tejate è una bevanda a base di cacao e mais che risale ai tempi pre-coloniali, un dono fatto da Dio alle donne, che ora sono le custodi della tradizione”, disse la nostra guida mentre entravamo nel mercato. Rimbalzando tra venditori di grilli e di larve fritte, tra banchetti ricolmi di mango che cadevano per terra, passammo davanti ad una erboristeria che offriva cure per ogni malanno e a negozietti riempiti di sacchetti con dozzine di varietà di peperoncini diversi, dai dolci agli affumicati, fino ai piccantissimi, nella nostra ricerca della bevanda di cioccolato più tradizionale di Oaxaca.
Ci fermammo di fronte ad una signora seduta, vicina ad un fruttivendolo, la quale aveva un grande contenitore in terracotta coperto da un telo. “Lei vende il miglior tejate” ci disse la guida e così, con grandi aspettative, ci mettemmo in fila per comprare la bevanda. La signora rimosse il telo, svelando una nuvola di schiuma che galleggiava sul liquido, punteggiata da grossi cubi di ghiaccio.
Il Tejate rappresenta l’incontro tra ingredienti così amati, che è radicato nella cultura gastronomica di Oaxaca da secoli. In prospettiva storica, il cacao fu portato a Oaxaca dal Chiapas, come elemento di scambi commerciali instaurati dagli Zapotechi, il popolo di Oaxaca. Le donne tostavano i semi del cacao, insieme ai fiori di “Rosita del cacao” (un fiore essiccato di una pianta messicana – Quararibea funebris – che, a dispetto del nome, non è botanicamente affine al cacao) e ai semi di Sapote su di un “comal” (una piastra di terracotta), prima di macinare il tutto alla consistenza di una pasta con il “metate”. Di seguito si aggiungeva il mais, che veniva cotto con cenere per ammorbidirlo e rilasciare i suoi nutrienti (un processo noto come “nixtamalizzazione”), e in seguito macinato diventando il “masa”. Il cacao e il “masa” venivano miscelati e poi diluiti un poco per volta nell’acqua, fino a raggiungere la consistenza desiderata della bevanda. Questa tradizione è presente ancora oggi, con a volte l’aggiunta di un poco di zucchero, ma grosso modo gli stessi ingredienti e lo stesso metodo sono stati conservati dalle donne in tutta la regione. Forse la sola grande differenza è stata la sostituzione del “metate” col “molino” (un mulino a cilindri di granito). Il “metate” era un blocco di pietra concavo dove le donne, grazie ad un mattarello anch’esso in pietra, macinavano il mais e il cacao, tra altri, fin dalle prime ore del mattino.
Al mercato la signora afferrò una zucca cava con cui mescolò il tejate, versandolo poi nelle tazze da una certa altezza, in modo da produrre ancor più schiuma (“flor”) e liberare il delicato aroma floreale, poi ci porse un paio di tazze schiumose da dividerci. La bevanda, con note floreali e di frutta secca, era fredda e rinfrescante, diversa da qualsiasi altra bevanda al cioccolato che avessimo mai assaggiato. Il mais dava un texture leggermente cremosa e la schiuma formava nuvole di cacao ad ogni sorso.
(Traduzione a cura di Mirco Marconi)
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