intervista a Fiorenzo Giolito a cura di Mirco Marconi
Giolito è uno dei selezionatori ed affinatori più noti in Italia, con un negozio di formaggi ed un spazio degustazioni che rappresentano un vero e proprio paradiso caseario per gli appassionati. L’attività di Giolito è a Bra, in provincia di Cuneo, e nel maggio 2019 si dovevano festeggiare i cent’anni di attività, celebrazione saltata a causa del Covid. Fiorenzo Giolito rappresenta la terza generazione familiare dedita al commercio dei formaggi, iniziata appunto nel 1920 grazie alla nonna, la quale raccoglieva le produzione del cuneese spingendosi a venderle fino a Genova, cosa piuttosto insolita per una donna a quell’epoca. Fiorenzo si diverte a raccontare come la sua super-nonna facesse buoni affari nel capoluogo ligure, perché probabilmente nella ricetta del pesto alla genovese si preferiva mettere il Bra duro, buono ma poco costoso, magari spacciandolo per altri rinomati formaggi; inoltre le forme stagionate due anni erano così stabili da non temere nulla, perfette quindi per essere imbarcate sulle tante navi degli emigranti che all’epoca salpavano verso il Brasile o l’Argentina.
Negli anni ’70 Fiorenzo entra nell’attività e nel 2001 apre l’attuale punto vendita a Bra, sonnacchiosa cittadina che pur essendo sempre stata un grande mercato dei formaggi della “provincia granda” , non è certo Milano o Roma, e nemmeno a Torino, pertanto non il luogo migliore per aprire un’attività così di nicchia come è questa. A Bra però accadono tre cose importanti e strettamente intrecciate tra di loro, che ne cambiano il destino: nel 1986 nasce Slow Food, un’associazione poi sviluppatasi a livello internazionale, ma che ancora oggi mantiene lì sua sede principale; nel 1997 c’è la prima edizione di Cheese, la più grande manifestazione mondiale sui formaggi artigianali, che con cadenza biennale riempie le sue strade e le sue piazze con centinaia di espositori; nel 2004, sempre grazie a Slow Food, nella vicina Pollenzo nasce la prima Università di Scienze Gastronomiche al mondo, con studenti provenienti da ogni dove e che in genere vivono a Bra. La cittadina è quindi diventata un piccolo centro cosmopolita, pieno di gastronomi in erba, in un Piemonte già patria di un notevole turismo enologico e gastronomico, che a sua volta sostiene la ristorazione di qualità. Alla fin fine, Giolito si è ritrovato nel posto giusto e al momento opportuno.
La mia frequentazione col negozio e con Fiorenzo nasce dall’esigenza di avere uno “spacciatore” di prodotti caseari di alto livello, per le mie lezioni di “Cheese Tasting” presso la suddetta università. Fiorenzo Giolito è oggi uno dei personaggi più interessanti cui porre la fatidica domanda che sto per fargli, ovvero: “se dovessi proporre un ricco tagliere di formaggi, diciamo composto da dieci prodotti, rappresentativo del meglio dell’Italia casearia, cosa sceglieresti?”.
Giolito: “Premetto che un tagliere minimalista, per chiudere in bellezza una cena, dovrebbe avere almeno quattro formaggi: un vaccino, un ovino, uno di capra ed un erborinato. Ma se quelli a disposizione sono addirittura dieci, si può fare un bel ‘tour d’Italie’ caseario. Sceglierò prodotti che, ad ogni modo, abbiano una certa reperibilità, altrimenti se metto solo chicche rarissime, i tuoi lettori ne rimarrebbero frustrati. Comunque ci sarà da divertirsi”.
Pensardicibo: “Bene, allora allacciamo le cinture!”
Giolito: “Cercherò, nei limiti del possibile, di rappresentare tutto il Paese, ma nella sequenza dei formaggi seguirò le ragioni del gusto, dai formaggi più delicati a quelli più intensi (pur se con una certa relatività…), e non un criterio geografico del tipo da nord a sud”.
Pensardicibo: “OK, corretto”.
Giolito: “Partiamo dalla Campania o dal basso Lazio con una Mozzarella di bufala campana. La sua dolcezza, suadenza e cremosità ti apriranno il palato, col contrappunto di un leggero selvatico”.
Pensardicibo: “Qualche nome da consigliare?”
Giolito: “Ovviamente ci sono produttori più validi ed altri meno, ma non voglio infilarmi in questa diatriba. Personalmente, ad esempio, propongo anche delle ottime mozzarelle di bufala prodotte in Puglia, a San Giovanni Rotondo”.
Pensardicibo: “Bene, andiamo col secondo formaggio”.
Giolito: “Mi sposto nel nord est, zona di grande tradizione casearia, per mettere un formaggio come l’Asiago o un Latteria friulano, in versione giovane, non più di due-tre mesi di stagionatura. Una pasta pressata quindi, con già una certa consistenza ma ancora di gusto delicato, segnata da note lattiche e di fieno. Se poi il formaggio venisse da un caseificio in quota e da latte estivo, ci potremmo trovare con un bel colore giallo e note aromatiche più intriganti, ancorché leggere, dovute ai foraggi verdi o al pascolo. In questo spot potrei anche mettere, in alternativa, una Toma d’alpe, ma sarei troppo Piemonte-centrico”.
Pensardicibo: “Perfetto. Mi stupisce però non aver ancora visto un formaggio di capra, come una Robiola di Roccaverano, forse il più rappresentativo di questa categoria nel nostro Paese”.
Giolito: “Prof. ma lasciami fare il mio mestiere perdinci, era il terzo formaggio in programma!”
Pensardicibo: “Ah scusa… di solito i caprini si mettono ai primi posti, per questo temevo non l’avessi previsto!”
Giolito: “Ma figurati! Metterei una Robiola di Roccaverano di pura capra, ovviamente, a latte crudo e possibilmente prodotta, come da tradizione, nel periodo tra marzo e ottobre. Con una ventina di giorni di stagionatura, così che cominci a sviluppare la crosticina, ma rimanga ancora morbida, con una naso intenso ma non troppo, e quella leggera acidità che ti pulisce la bocca. Io tratto quelle dell’Azienda Agricola Stutz & Pfister, gente di origine svizzera ma in Langa da due generazioni”.
Pensardicibo: “Bene, immagino che col prossimo saliremo ancora un po’ di intensità…”
Giolito: “Infatti, andiamo in Lombardia, nella bergamasca in particolare, con un Taleggio. Uno di quelli buoni e fatti come una volta però, oggi non così facili da trovare: con la pasta un po’ gessosa al centro e cremificato nel sottocrosta. Anticipo la tua domanda e ti dico che io mi fornisco da Taddei. Per proseguire rimaniamo al nord, ma questa volta nel mio Piemonte, e andiamo in Alta Val d’Ossola, a trovare il Bettelmatt”.
Pensardicibo: “Perbacco, il formaggio d’alpeggio per eccellenza! Una cosa che non può mancare nel ‘tagliere dei taglieri’, uno dei miei preferiti e che mi porta spesso alla commozione. Tu Fiorenzo, se non erro, acquisti i Bettelmatt a settembre-ottobre e li affini nella tua cantina, ma dopo Natale sono già tutti sold-out”.
Giolito: “È vero, considera che parliamo di una produzione limitata, circa seimila forme all’anno, che di solito vengono vendute e consumate giovani, non oltre i 4-5 mesi di stagionatura. Quest’anno però ho avviato una prova, per portarli oltre l’anno di stagionatura, vediamo che succede”.
Pensardicibo: “Ricordo ai lettori che parliamo di un formaggio a latte crudo e prodotto solo in luglio, agosto e settembre, caseificando due volte al giorno il latte appena munto, poi stagionato un minimo di 60 giorni. Le essenze erbacee della zona, tra cui l’erba mottolina, gli regalano aromi intensi e particolari, che si inseriscono in un profilo gustativo di un formaggio dal sapore ancora dolce e lattico, burroso. Un mix di sensazioni travolgente che temo, come per altri formaggi di malga, con la stagionatura possa acquisire una personalità più complessa, ma anche perdere questo timbro limpido d’alpeggio. I produttori dell’associazione sono solo otto, distribuiti su nove alpeggi, in una zona in cui abitano i discendenti dei Walser, una delle minoranze etniche delle nostre Alpi”.
Giolito: “Dal Piemonte scendo in Toscana per la mia posizione numero sei sul tagliere, ma non scelgo uno degli ottimi pecorini tipici, quanto un formaggio di invenzione più recente, in cui il latte di pecora è utilizzato per una grossa forma da 25-30 Kg, con una consistenza granulosa e al tempo stesso grassa: si tratta della ‘Riserva del Fondatore’, prodotto dal caseificio ‘Il Fiorino’ a Roccalbegna (GR). Un formaggio di certo fuori dal coro, anche perché il latte viene termizzato (non me ne vogliano quelli di Slow Food), ma però un grandissimo prodotto, con la dolcezza, la suadenza e l’untuosità del latte ovino, la tessitura fine e granulosa e il sapore (umami) che ricordano un Grana, ma l’aromaticità inconfondibile, seppur elegante, di un formaggio di pecora”.
Pensardicibo: “Mi hai già fatto conoscere il prodotto e non posso che sottoscrivere le tue parole. È facile prevedere che ora ci inoltreremo verso sud”.
Giolito: “Così a sud da arrivare dritti in Sicilia, per un pecorino diverso da tutti gli altri, grazie allo zafferano che gli regala uno splendido colore giallo intenso e la caratteristica nota aromatica della più costosa tra le spezie, che ben si sposa con quella del latte ovino. Sto parlando del Piacentinu di Enna, quello a latte crudo del Presidio Slow Food. Non troppo stagionato, per mantenere tutta la sua naturale dolcezza”.
Pensardicibo: “Siamo arrivati su di un’isola, ora che si fa, si ritorna in terraferma?”
Giolito: “A dire il vero no, proseguirei fino in Sardegna ma, e forse vi sorprenderà, non per uno dei suoi tanti pecorini, tra cui il grandissimo Fiore Sardo, ma per una pasta filata. Non dobbiamo dimenticare infatti la grande tradizione delle paste filate stagionate del sud del Paese e delle isole. Certo la Sardegna non è per nulla rappresentativa di questa categoria, ma c’è un’eccezione che io amo tantissimo, il Casizolu del Montiferru, formaggio di latte vaccino anch’esso presidio Slow Food. Con la stagionatura la pasta giallastra tende a sfogliarsi, ma non lo vorrei comunque troppo stagionato, per evitare la piccantezza ed avere dolcezza ed al tempo stesso complessità aromatica. Mi rendo conto però che può essere non di facile reperibilità, quindi come alternative posso prevedere la Provola dei Nebrodi o quella delle Madonie, entrambe siciliane, o il Pallone di Gravina dalla Puglia o dalla Basilicata”.
Pensardicibo: “Bene Fiorenzo, ci avviamo verso il gran finale, con gli ultimi due formaggi… entrambi erborinati?”
Giolito: “Si, il primo è un erborinato di capra, che ha la consistenza cremosa e la muffa tipica di un Gorgonzola cremificato, ma essendo di latte ircino ha colore più bianco e la nota aromatica caratteristica. Molto delicato. Poi concludo con un Gorgonzola piccante, che non poteva mancare. Mi rifornisco di entrambi nel novarese, da un caseificio che si chiama Invernizzi, cognome molto diffuso in zona, ma che non è il grande produttore industriale che tutti conoscono. Questo mio fornitore mi ha fatto avere una copia del menù di prima classe del Titanic, dove era presente il Gorgonzola… queste notizie storiche sono la mia passione”.
Pensardicibo: “Se dovessi consigliare anche un altro marchio di Gorgonzola, puoi farmi un nome?”
Giolito: “Direi Angelo Croce, il suo ‘Il Malghesino naturale’ è veramente notevole”.
Pensardicibo: “Una gran tagliere, accidenti. Però vieni a proporre questi 10 grandi formaggi a me, sapendomi emiliano DOC, e non prevedi un Parmigiano Reggiano? Provocatore!”
Giolito: “Ahahah! Non l’ho messo in realtà perché ho dato per scontato che tutti, in tutta Italia, ce l’abbiano già in casa. Però, certo, non può mancare, consideriamolo una star fuori concorso”.
Pensardicibo: “Nel tuo negozio quanti e quali Parmigiani proponi?”
Giolito: “Ne ho 4 diversi: uno di 24 mesi prodotto a Reggio Emilia da Scalabrini, poi Gennari di Collechio (PR) con il 36-40 mesi, quello delle vacche di razza reggiana ed infine il caseificio con matricola 1477, ‘Il Malandrone’ dall’Appennino modenese”.
Giolito: “Nulla di più facile… Andrei su di un Montebore, Presidio Slow Food del tortonese, latte misto ovino (30%) e vaccino (70%), dalla caratteristica forma a piramide e dal gusto delicato ma irresistibile. In alternativa un Testun di latte di pecora delle montagne cuneesi, un gusto intenso ma al tempo stesso delicato. Poi visto che so che ami i formaggi d’alpeggio, una produzione eccellente ma molto limitata, il Plaisentif, prodotto dalle parti del Sestriere (Alta Val Chisone e Alta Val Susa) nei mesi di luglio e agosto, in pascoli famosi per avere fioriture di viole, infatti viene anche chiamato formaggio delle viole. Poi, se volessi provocare, metterei il grande Reblochon della Savoia, che una volta ovviamente era Piemonte”.
Pensardicibo: “Potremmo essere a posto così, ma… ti sei dimenticato proprio della tua invenzione?”
Giolito: “Diciamo che non mi sembrava elegante”.
Pensardicibo: “Parliamo di un formaggio, il Braciuk, così particolare e così apprezzato, che non puoi esimerti dal raccontarcelo, in chiusura”
Giolito: “Si tratta di un formaggio affinato in vinacce. Uso il Bra di 2 mesi-2 mesi e mezzo di stagionatura, a fine settembre-inizio ottobre lo metto in barrique alternando le forme con strati di vinacce di Barbera non torchiate, quindi molto umide. Ho provato col Nebbiolo, ma per lo scopo la Barbera è più adatta, grazie agli antociani che colorano la crosta di viola ed alla sua aromaticità. Le forme rimangono in botte 3-4 mesi, dove vengono rivoltate, alternate e accudite (è tanto lavoro…), poi una volta estratte le metto sotto vuoto con un po’ di vinacce sopra e le conservo anche oltre un anno. In questo tempo gli aromi del vino penetrano nella pasta dando, in effetti, un risultato molto gradevole”.
Pensardicibo: “Fiorenzo ti ringrazio del tempo che ci hai dedicato, sperando che ai lettori sia venuta voglia di un tagliere di formaggi ed anche di viaggiare per scoprirli in futuro, magari venendoti a trovare”
Bellissimo articolo. Le proposte dei formaggi fanno venir voglia di riuscire ad assaggiarli tutti prima o poi.