L’Emilia-Romagna è famosa nel mondo per alcune sue “perle” enogastronomiche: il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma, l’Aceto Balsamico Tradizionale, il lambrusco e i suoi tanti salumi. Si tratta di prodotti derivanti da trasformazione, mentre tra quelli che l’agricoltura ci offre direttamente, ci sono IGP (l’Indicazione Geografica Protetta) come l’Anguria Reggiana, la Pera dell’Emilia Romagna, lo scalogno di Romagna. Il nostro territorio nasconde però alcuni altri piccoli “gioielli” agroalimentari, che meritano di essere assolutamente conosciuti, dai cittadini della regione innanzitutto. Si tratta di “frutti dimenticati” della nostra terra, che sono caduti nell’oblio a causa dell’avvento dell’agricoltura intensiva prima, e della globalizzazione poi, ma che oggi possono avere un nuovo ruolo e dignità, nella prospettiva di un’agricoltura sostenibile e di una attenzione sempre più forte alle tradizioni gastronomiche locali ed al cibo sano.
Si tratta di varietà di cereali, frutta e ortaggi, o di razze animali che hanno rischiato di estinguersi e che oggi sono protette da specifiche normative, sia a livello nazionale che regionale.
Un esempio arcinoto è la vacca rossa reggiana, che rischiò di scomparire e che negli ultimi decenni è stata rilanciata, grazie alla qualità del suo latte per il Parmigiano Reggiano. Un altro esempio di successo è il suino Mora Romagnola, ma ci sono anche la Pecora Cornella e quella Cornigliese, la bovina Bianca Valpadana e quella Romagnola, tra gli altri. Ci sono ancora, però, anche tante varietà vegetali: frutti come il Melo Campanino, la Pera Nobile, la Prugna Zucchella; cereali quali il Frumento Poulard di Ciano e il Mais Succi, ortaggi quali la Cipolla Borettana. Mentre quest’ultima non ha mai smesso di essere coltivata, le altre hanno rischiato la scomparsa o si sono del tutto estinte, provocando una perdita di sapori, memorie e tradizioni, oltre che della combinazione unica di geni che ogni varietà rappresenta. Questi prodotti sono stati abbandonati non perché di gusto scadente (in generale è tutt’altro!), ma perché poco produttivi o poco adatti alle lunghe conservazioni e trasporti che la grande distribuzione richiede.
Qualcuno però ha testardamente continuato a credere in queste varietà locali, remando in direzione ostinata e contraria, come avrebbe detto Fabrizio de André, ed alla fine sta cominciando ad avere qualche soddisfazione. Una ventina di anni fa, infatti, nell’istituto agrario di Reggio Emilia, dove lo scrivente lavora, si iniziò a guardare con interesse verso queste varietà locali, andando alla ricerca di qualcuno che avesse mantenuto le sementi, ma anche solo delle tracce e delle memorie del passato.
Il primo amore, con cui tutta questa storia ha avuto origine, è stata la zucca Cappello da Prete, che per ricette quali i tortelli detiene ancora una qualità gastronomica insuperata, come dimostrano i tanti ristoranti e gastronomie che oggi l’hanno riscoperta e la richiedono. Girovagando per le campagne della bassa reggiana, alla fine degli anno ’90, rintracciammo diverse accessioni di questa zucca, ovvero diverse tipologie, alcune delle quali più corrispondenti alle memorie personali ed alle fonti scritte e orali, altre meno. Alla fine ne abbiamo scelte due, adottandole, che significa che ogni anno, da oltre vent’anni a questa parte, le coltiviamo garantendo il mantenimento delle caratteristiche della varietà, ovvero evitando l’ibridazione e selezionando per la raccolta dei semi gli esemplari più corrispondenti al “tipo”. Le due accessioni scelte provenivano una dall’Oltrepò mantovano e l’altra dalle campagne attorno a Guastalla. Per noi sono diventate la zucca cappello da prete mantovana, la prima, e reggiana, la seconda. Quest’ultima è stata registrata, una ventina di anni dopo, nel registro nazionale previsto dal Decreto Legislativo n. 267 del 2010.
La Cappello da Prete rappresenta indubbiamente la più antica varietà di zucca presente sul nostro territorio. Il nome cappello da prete, usato anche a Parma e a Mantova, deriva dalla sua forma a due falde, quella superiore più larga e l’inferiore più ristretta, che nella fantasia popolare ricordava il cappello del parroco fino agli anni ‘50. Zucche con forme simili in altri luoghi sono state chiamate in modo più “esotico”, ad esempio zucca a turbante, ma qui ha prevalso un nome con riferimenti locali. Nel piacentino e nel pavese una zucca simile viene chiamata “berettina”. Non si hanno però notizie precise sulla sua origine storica. C’è una somiglianza con una delle più note zucche tradizionali d’Italia, la Marina di Chioggia, che però presenta un colore verde scuro e la superficie molto verrucosa. Zucche costolute e verrucose, compaiono già in dipinti tra ‘500 e ‘600. L’unico e più antico riferimento scritto rinvenuto su un’edizione a diffusione nazionale e che ha un possibile legame con questa forma caratteristica, appare su di una manuale del 1892 (Farneti R. Frutti freschi e secchi – ortaggi. Fratelli Dumolard editori, Milano): “Zucca turbante – La forma […] la fa rassomigliare ad un turbante. La varietà grossa comune ha da 40 a 60 cm di diametro trasversale. La polpa è di un bel color giallo, fina, molto stimata”. Il Casali (C. Casali, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Atti del Consorzio Agrario di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1915) cita una zócca da la brètta che potrebbe coincidere con il nome forse più in uso a quell’epoca per la Cappello da Prete.
Vediamo ora le caratteristiche varietali salienti della zucca Cappello da Prete reggiana, in conservazione presso l’Istituto “A. Zanelli”: ha frutti con dimensione e forma molto regolari, pezzatura media (2-4 kg), di colore grigio-verde e superficie liscia, costolatura assente; la falda inferiore è sempre ben pronunciata, i semi hanno colore bianco. La polpa è densa e asciutta, con elevato contenuto di solidi, povera di fibra, con colore giallo-arancio chiaro. Esemplari di questa accessione sono stati utilizzati per una ricerca sul DNA dal Laboratorio di analisi varietale dell’E.N.S.E. di Tavazzano, che ha dimostrato una notevole uniformità genetica e di conseguenza una costanza dei caratteri fenotipici.
La zucca Cappello da Prete veniva conservata durante l’inverno per mesi fino spesso a raggiungere, ancora sana, la primavera. Era la protagonista di un piatto tipico reggiano, il tortello di zucca, per cui presenta le caratteristiche ideali: polpa soda e poco acquosa, spiccata dolcezza, assenza di aromi particolari, come invece quelli caratteristici della specie Cucurbita moschata, giacché la nota tipica di questo tortello dovrebbe derivare dagli amaretti e dalla buccia di limone, o dalla mostarda. Le caratteristiche della polpa si prestano anche bene per la preparazione dei gnocchi di zucca. Stante l’elevata qualità organolettica della cappello da prete, quali sono i motivi che ne hanno determinato la quasi scomparsa? Innanzitutto la presenza della falda inferiore, che contiene molti semi e quindi da l’idea di una resa minore: cosa non vera in realtà, in quanto c’è un buono spessore della polpa, soprattutto nella falda superiore (come si può vedere dalla foto). Questa ingannevole impressione, importante però sul mercato, ha spinto alla selezione di zucche con la falda inferiore quasi inesistente, come la Berettina Piacentina. Altri fattori disincentivanti l’acquisto sono la grande dimensione (che nella reggiana è comunque inferiore alla mantovana) poco pratica per la grande distribuzione e la particolare durezza della scorza. Un modo per risolvere quest’ultimo problema è aprire la zucca in due parti, rimuovere i semi e cuocere le due metà al forno. Questi ovviamente non rappresentano problemi per la ristorazione professionale, che acquista zucche all’ingrosso ed ha forni adeguati per la cottura.
Le sue concorrenti sul mercato oggigiorno sono: la Zucca Violina (o Butternut Rugosa) che nella specie C. moschata è la più soda e meno aromatica, quindi adatta a preparazioni come i tortelli, anch’essa è presente da più di 70 anni in zona e quindi da considerare ormai autoctona; la Piacentina, variante moderna della cappello da prete, selezionata per eliminare la doppia falda; la Delica, zucca ibrida di origine giapponese, onnipresente nei negozi e nella ristorazione in quanto alla qualità organolettica abbina una taglia contenuta e una facilità di lavorazione in cucina. Quest’ultima, tra l’altro, essendo una zucca ibrida, vincola gli agricoltori all’acquisto annuale delle sementi.
Per chi vuole provare il sapore ineguagliato di questa zucca, le Cappello da Prete sono in vendita presso l’azienda agraria dell’Istituto “A. Zanelli” di Reggio Emilia, in via F.lii Rosselli 41/1, tutti i giorni dalle 11.00 alle 13.00.