Immaginate di passeggiare nei primi giorni di novembre in una bella campagna costellata di ordinati vigneti e di ameni paesini, nei quali non è difficile incontrare qualche trattoria con tavolini dove sorseggiare un bicchiere del fragrante rosso locale. Potreste essere in Toscana, nelle Langhe o in diverse altre regioni d’Italia, ma c’è qualcosa che non torna. Il suolo è bruno e sabbioso, affiorano rocce granitiche sui poggi migliori che si affacciano su una vasta pianura, oltre la quale scorgerete il profilo delle Alpi. Anche le vigne hanno qualcosa di insolito, non sono pergole o filari a spalliera, come ormai usuale nelle campagne nostrane, ma alberelli, goblet per la precisione, da cui si dipartono tralci affusolati e contorti che strisciano sul terreno. Dove siete? Nel Beaujolais, godereccia regione francese a nord di Lione, alle porte della Borgogna, patria della macerazione carbonica.
Detta così, macerazione carbonica, forse il termine non vi è famigliare, ma se paliamo di vino novello o Beaujolais nouveau ecco che tutti hanno subito chiaro a cosa ci riferiamo, soprattutto in questi giorni dove, anche in Italia, entra il vendita il vino novello dell’annata 2020. Quella del vino novello è stata una grande ubriacatura a cavallo degli anni duemila dove, addirittura, si organizzava una fiera a Vicenza dedicata solo a questi vini fragranti e beverini, con esemplari di tutto il mondo. Come tutte le mode ha portato con se, insieme ad alcuni prodotti seri, una marea di bottiglie dalle dubbie qualità stante la legislazione che, ancora oggi, autorizza a tagliare il vino novello con vino degli anni precedenti, ottimo modo per dar fondo a indesiderate “riserve”, ammantandole di nuovo fascino. Non che i colleghi francesi non abbiano le loro colpe. L’invenzione del Beaujolais nouveau, l’antesignano dei vini novelli, negli anni ’80 ha caratterizzato in modo indelebile, e opinabile, una regione viticola affasciante e dalla lunga storia che ha pagato per molti secoli, il fatto di essere da sempre il bacino di vino da tavola per la metropoli di Lione. Qui, alle porte della nobile Borgogna, sulle sabbie e sui graniti rosa tra i comuni di Morgon , Fleurie e Saint Amour, il pinot nero non matura mentre il più rustico gamay, ormai espulso dalla Cote d’Or, trova il suo habitat ideale.
Ma andiamo con ordine, cos’è la macerazione carbonica? Questa tecnica di vinificazione in rosso è stata codificata negli anni 70’ da Flanzy, enologo e ricercatore locale, ma affonda le radici nella storia del Beaujolais. Basta visitare una cantina tradizionale per riconoscere le grandi vasche e il torchio a pianta quadrata necessari a questa produzione. Si tratta, in buona sostanza, di incantinare le uve intere, senza diraspatura o tanto meno pigiatura. Una volta riempiti i tini, tradizionalmente di cemento o legno, oggi spesso d’acciaio è lo stesso peso dell’uva che schiaccia i grappoli sul fondo facendo fuoriuscire un po’ di mosto e innescando una fermentazione alcolica, spontanea, con i lieviti presenti sui grappoli. La fermentazione spontanea satura rapidamente il tino, chiuso ermeticamente, di anidride carbonica, permettendo l’innesco di quella che è la vera peculiarità della macerazione carbonica, ovvero una fermentazione autonoma interna all’acino. Le cellule della bacca mantengono una vitalità residua per parecchie ore, se l’acino non è compromesso nella sua integrità. La condizione anaerobica porta le cellule dell’acino ad attivare la fermentazione alcolica, accumulando all’interno del frutto fino al 2% di etanolo, valore oltre al quale è lo stesso alcol che inattiva le cellule. Ma non è solo questa la peculiarità della macerazione carbonica. L’attività cellulare in condizioni così particolari porta ad un accumulo insolito di molecole di origine fermentativa, come esteri, acetati, alcoli superiori, acetaldeide e glicerolo, e ad una migrazione di componenti polifenolici, ovvero il colore del vino, dalla buccia alla polpa che si tingerà di rosso. Dopo 5-7 giorni il processo è interrotto, l’uva svinata e pressata, il vino fiore riposto nei tini a concludere la fermentazione alcolica e malolattica. In effetti il vino che si otterrà sarà già dopo poche settimane ricco di colore e aromi fermentativi, fragranti sentori di frutta rossa con qualche accenno speziato. Il vino sarà solitamente povero in tannini, molecole che si disciolgono solo in presenza di etanolo, dalla buona acidità, ideale compagno di una tavola spensierata. Ma è tutto qui? Non proprio.
Negli ultimi anni, grazie ad alcuni produttori storici che testardamente hanno resistito alle mode passeggere e ad una schiera di nuovi vignaioli, attratti da una regione ancora integra nel suo paesaggio agricolo e da costi non impossibili di cantine e vigneti, il Beaujolais è divenuta una delle regioni di Francia dove si beve meglio, a prezzi del tutto accessibili. La svolta la si deve anche ad una illuminata scelta del legislatore che ha riconosciuto, oltre alle denominazioni generiche Beaujolais (un’area davvero molto vasta e con zone non sempre vocate alla viticoltura, caratterizzati da terreni sabbiosi e pianeggianti) e Beaujolais village (le colline più vocate con terreni meno sabbiosi e ricchi di granito) dieci cru regionali, ovvero le località storiche di questa zona enologica e dai terroir più vocati. Si tratta di una fascia collinare con piena esposizione a sud est, dai pendii ripidi e aridi ricchi di roccia affiorante, brulli e quasi desolati se si paragonano alla rigogliosa vegetazione circostante. Sui questi terreni il gamay da vini di maggior struttura e complessità aromatica, senza tuttavia perdere l’eleganza e la giovialità che lo caratterizzano. La macerazione carbonica è sempre la base del processo produttivo, alla quale seguono affinamenti di almeno un anno in botti vecchie, donando al vino maggior equilibrio senza sovrastarne il profilo caratteristico. I cru del Beaujolais, pur ancora in ricerca di un’immagine caratteristica che li distingua gli uni dagli altri, sono vini buono già all’uscita in commercio, ma certamente in grado di evolvere per almeno 5-6 anni acquisendo complessità ed eleganza fino a non sfigurare affatto accanto a una denominazione comunale di Borgogna o a un cru della Loira e del Rodano.
Tra i cru più noti oggi ci sono Morgon, con l’arida collina della Cote du Puy, che si dica sia la culla della denominazione. Altrettanto caratteristici sono i pendii di Fleurie, dominati dalla cappella votiva eretta a fine ottocento dai vignaioli locali per chiedere alla Madonna un aiuto contro l’oidio, crittogramma della vite che imperversava sul vigneto locale, importata dall’America come peronospora e fillossera. Più in basso un’altra denominazione tradizionale è quella di Moluin à Vent, foriera di vini più strutturati e potenti, su dolci pendii ove l’argilla trova parte importante nella tessitura del suolo. Denominazioni più recenti, ma da scoprire sono Saint-Amour, Chénas, Bruouilly, come si diceva ancora non si è raggiunta una completa definizione dello stile di ogni cru, ma la strada è certamente aperta. I Beaujolais sono ormai frequentemente disponibili anche in Italia, sia grazie alla vendita online che nelle enoteche più fornite, ma da dove cominciare? Ecco tre indicazioni di produttori interessanti, ad insindacabile parere dello scrivente, più una chicca nostrana, perché un buon novello, ancora, lo si può trovare.
Domaine Marcel Lapierre. Domaine famigliare storico a Morgon. Marcel ci ha lasciato nel 2010 ed oggi le redini dell’azienda sono saldamente in mano ai due figli, Matthieu e Camille. Il Morgon della casa è il vino iconico del Beaujolais, dall’eccellente rapporto qualità prezzo, siamo sui venti euro al netto di speculazioni. Vino proposto nelle due versioni, con solforosa o senza, sa raggiungere una notevole complessità nelle espressioni più felici e invecchia sorprendentemente bene. Da provare, spendendo qualcosa in più, anche le cuvée parcellari.
Domaine Chermette. Azienda a conudzione famigliare biologica propone una gamma decisamente ampia, ideale per farsi un “viaggio” nel Beaujolais. Ottimo nella sua semplicità e fragranza la Cuvée Origine Vielle Vigne, bella la selezione di cru regionali nei quali testare le differenze tra i differenti terroirs. Il Beaujolais bianco è un rustico chardonnay, qui potrete trovare anche il Beaujolais nouveau.
Michel Clotaire. Michal è stato un “enfant prodige“ della Syrah a Saint Joseph sul Rodano. Dopo aver dato agli appassionati bottiglie iconiche ha spiazzato tutti vendendo i vigneti e facendo armi e bagli per partire per un lungo viaggio in giro per l’Europa. Alla fine si è accasato nel Beaujolais, acquistando un piccolo domaine di un paio d’ettari. I suoi vini sono personali e terragni, con volatili estreme, ma quanto mai eleganti. Bevute indimenticabili in ogni caso per vini che contrariamente alla tradizione sono poco marcati dalla macerazione carbonica.
Azienda Agricola Zeni. A San Michele all’Adige, in Trentino, la famiglia Zeni propone una gamma divini tanto vasta quanto esemplare nella qualità, oltre che una nutrita selezione di distillati, la seconda attività di famiglia. Una piccola chicca è il novello di teroldego. 100% macerazione carbonica di uve nuove, un novello come dovrebbe essere, fragrante da giovane, insospettabilmente longevo. Unico difetto, finisce subito!