“dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini” scriveva Carducci in San Martino, quando il global warming non
era ancora arrivato e si vendemmiava ad ottobre inoltrato, con fermentazioni che si trascinavano per tutto
il mese di novembre. Oggi, ai primi di settembre, le cantine sono già aperte e ferve il lavoro di enologi,
operai e …. microrganismi. Sì perché il vino è, tra le tante cose, una bevanda fermentata ovvero prodotta
con l’ausilio, per moti secoli inconsapevole, di lieviti e batteri. Ma qual è effettivamente il ruolo di questi
microrganismi nel vino? Da dove vengono? Cosa sono le fermentazioni naturali, oggi tanto in voga tra gli
appassionati di vino?
Andiamo con ordine, i lieviti, funghi unicellulari microscopici, popolano l’ambiente, naturale ed
antropizzato, da sempre. Pur con differenze significative tra specie e specie, abbisognano di zuccheri
semplici per svolgere il loro ciclo vitale, oltre che substrati azotati, generalmente aminoacidi e
micronutrienti quali sali e vitamine. Tutte queste cose si trovano nei vegetali e infatti, è esperienza comune,
che dimenticandosi la frutta al caldo, d’estate, questa prenda un sentore acre che ricorda da lontano il vino.
L’uva, tra i vari frutti, ha poi una attitudine alla fermentazione notevole essendo ricchissima d’acqua e
zuccheri, un paradiso per i lieviti che in poche ore dalla pressatura, una volta passati dalla buccia degli acini
al mosto, attivano un metabolismo energetico detto fermentazione alcolica. In questa via metabolica il
lievito ricava energia dagli zuccheri a 6 atomi di carbonio, fruttosio e glucosio, producendo principalmente
anidride carbonica, etanolo, glicerolo e acido acetico.
Attenzione, la fermentazione alcolica non è il
metabolismo preferito del lievito che in condizioni ottimali respirerebbe, esattamente come noi. Per varie
ragioni biochimiche la respirazione è inibita nel mosto e dunque il lievito si adatta, regalandoci il vino. La
fermentazione alcolica è certamente il più vistoso processo biochimico promosso dai lieviti, ma non è
l’unico a rivestire una fondamentale importanza per il profilo sensoriale del vino. Dal metabolismo degli
amminoacidi il lievito ricava numerose molecole che, spesso combinandosi con i prodotti della
fermentazione, generano molecole aromatiche responsabili dei sentori fruttati e speziati che caratterizzano
i vini, tra le principali classi di questi composti vi sono esteri, aldeidi, acidi grassi, ecc.
Non solo, altre molecole aromatiche, naturalmente presenti nell’uva, sono rese disponibili alla percezione da parte del
nostro sistema sensoriale proprio dall’attività enzimatica dei lieviti, tra queste terpeni e tioli responsabili,
ad esempio, dei fragranti e riconoscibilissimi aromi del gewürztraminer, sauvignon, moscato. Ovviamente
ogni varietà d’uva ha un profilo amminoacidico caratteristico, così come un bagaglio proprio di precursori
aromatici, entrambi influenzati, oltre che dal genoma della vite, anche da variabili agronomiche e
ambientali. Da questa infinta combinazione di composti nasce, grazie all’attività dei lievito, la miriade di
sfumature aromatiche che caratterizzano il vino.
La fermentazione è dunque un processo tanto complesso quanto naturale, mediato da microrganismi nativi
del vigneto e che rapidamente colonizzano le cantine, tuttavia è nata, con l’avvento della produzione
professionale di vino dal secondo dopoguerra e più marcatamente dagli anni ’90, l’esigenza di ottimizzare i
processi fermentativi, scongiurare problemi e deviazioni organolettiche date da microrganismi alterativi, e
ottenere vini riconoscibili, con profumi e gusto ben definiti. Da queste esigenze ha preso via la selezione,
sempre da mosti e vini, di lieviti particolarmente vocati alla produzione di vini, la loro conservazione in
laboratori specializzati, e la messa in commercio sotto forma di lieviti secchi attivi, stabili e, una volta
riattivati, con una eccellente attività fermentativa.
L’uso di colture starter di microorganismi è pratica molto diffusa nel settore agroalimentare, ma nel vino questa suscita sentimenti contrastanti. Da una parte vi è l’esigenza delle grandi cantine industriali, termine utilizzato senza alcuna accezione negativa ma solo in
riferimento alle enormi masse di vino prodotte, che in effetti necessitano di fermentazioni efficienti e
regolari per ottimizzare i processi produttivi e garantire ai propri clienti vini rispondenti a specifiche
richieste commerciali. Dall’altra vi è una schiera di vignaioli che, volendo esaltare al massimo i caratteri di
ogni vigneto e di ogni annata, preferiscono utilizzare esclusivamente i lieviti presenti sull’uva, accettando la
variabilità e l’imprevedibilità che inevitabilmente questi si portano a dietro. In ogni caso la fermentazione
rimane un processo naturale, sempre mediato da lieviti, e sempre da monitorare con puntiglio per
scongiurare i difetti che ancora oggi, purtroppo, caratterizzano molti vini, anche tra i cosiddetti vini
“naturali”.
La fermentazione alcolica del mosto non è poi l’unica fermentazione che avviene nel vino, anche i batteri
collaborano alla produzione enologica e vi sono vini che subiscono più fermentazioni, ma di questo
parleremo nei prossimi post …